L'omeopatia è una pratica medica "moderna" creata nel 1700 da un certo Samuel Hahnemann.
Ho sempre pensato che il fascino di questo nome, tedesco di Germania, specie per l'Italia esterofila, abbia contribuito non poco alla fortuna della cosa che sarebbe già stata dimenticata se l'inventore si fosse chiamato, che so, Gennaro Esposito o Salvatore Scognamiglio. Questo geniale medico di Sassonia notò che le medicine somministrate ai suoi pazienti facevano più male che bene, osservazione accettabilissima anche ai giorni nostri. D'accordo con il farmacista, che era suo suocero, pensò di dare ai malati, ma soprattutto a quelli che credevano di esserlo, della semplice acqua fresca senza che loro lo sapessero.
I pazienti stavano meglio perché ovviamente non soffrivano dei disturbi dovuti agli effetti collaterali delle medicine vere. Un trionfo.
Per non creare sospetti il farmacista mantenne invariato il prezzo delle prescrizioni, anzi lo aumentò un poco per rendere la cosa più credibile. E siccome era un uomo di Chiesa, preso da un certo scrupolo, penso di aggiungere alla "preparazione" un pochino, solo un pochino di farmaco, preso a casaccio qua e là, anche perché, se fosse stato preso in castagna, vedi la malignità dei colleghi, avrebbe sempre potuto dire che si era sbagliato con il bilancino.
E perché le sostanze immesse nel beverone non potessero essere identificate praticò numerosi scrollamenti del composto.La pratica fu codificata dall'Hahnemann come "dinamizzazione".
Per lanciare il prodotto fu creato lo slogan "similia simili-bus curantur". Fu scelto fra i tanti possibili ed ha avuto, come sappiamo, un'enorme fortuna.
Oggi però le cose si fanno alla luce del sole e senza inganni. I pazienti sanno che di acqua si tratta ma la comprano lo stesso a caro prezzo perché è un'acqua speciale e se fate loro qualche timida osservazione, stizziti e aggressivi, vi rispondono che fa bene e basta. Fa bene al corpo ed allo spirito, cura tutte le malattie, da vigore e fa diventare perfino belli.
Può cambiare un'esistenza, in meglio, s'intende.
Sentite questa, esperienza personale.
Al liceo avevo un amico, tale Carozzi, che non era, come si dice, un'aquila nello studio. Era per di più tremendamente timido. Frequentava solo me perché ero paziente ad ascoltare i suoi problemi, non pochi, non lo prendevo in giro come i compagni e cercavo di dargli buoni consigli per le ragazze con le quali era una vera frana. La balbuzie, i brufoli al viso, il fiato pesante e quell'aria malaticcia, timidezza a parte, non giocavano in suo favore in campo amoroso.
Per non perdermi come amico si iscrisse anche lui a medicina pur non avendone alcuna inclinazione. Dopo il secondo anno lo persi di vista perché aveva dato si e no due esami. Andò fuori corso. Lo rividi dopo molti anni, anzi fu lui a vedere me, perché mai e poi mai lo avrei riconosciuto per primo.
Scendeva da un'automobile di quelle mai viste che, se non vai vicino a vedere la targhetta della marca, non l'indovini.
Notò il mio sguardo ammirato (che scarpe!!!) e mi disse che lui, per il lavoro che faceva, doveva esser così, per sentirsi a suo agio, per far colpo sul prossimo, per crearsi un'aura di suggestione utile ai suoi fini. Mi sembrò alquanto cinico e sboccato, strano per lui, quando ridendo mi disse che per mantenere un furbo ci volevano cento coglioni.
Mi chiese distrattamente del mio lavoro professionale: si dimostrò sinceramente sorpreso e, mi parve, vagamente schifato, quando gli parlai dei miei guadagni, indegni, egli disse, per me.
Mi disse di andarlo a trovare per fare una partita a bigliardo, come ai vecchi tempi e da questo piccolo particolare e dall'indirizzo che mi diede capii che casa sua doveva essere una villa niente male. Non certo un'eredità del padre che avevo conosciuto come un umile impiegato del catasto.
Nella fuoriserie era seduta una donna che intravidi bellissima (la moglie, un'amica?). Non fece nulla per presentarmela e, sapendomi al corrente dei suoi timidi trascorsi, mi parve strano non si fosse fatto bello con me.
Evidentemente considerava di poca importanza la bella donna e la macchina.
Ma quello che più mi colpi in lui fu la parlantina sciolta, la dialettica con cui riusciva ad essere convincente anche, anzi soprattutto, nelle cose banali. Guardandolo bene, come fosse un'altra persona, mi ricordai il suo volto deturpato dall'acne e notai che assieme a questa era sparito quel colore gialliccio che gli aveva sempre dato un'aria sofferente.
Era anche un po' ingrassato, quel tanto da renderlo quasi bello. II merito di questa metamorfosi?
L'omeopatia!!
Parlando parlando mi aveva detto alla fine, ma pensava già l'avessi capito, che doveva tutto alla omeopatia alla quale, folgorato sulla via di Damasco, aveva dato corpo e anima.
Si, faceva il medico omeopatico!
Tratto da “Medici inutili, medicine insane”
di Clodomiro Mancini
Collana: Curiosità del giardino di Epicuro
Editore: Felice Scipioni
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