sabato 18 aprile 2009

Quale Felicità – Curiosità del giardino di Epicuro

EPICURO (341 - 271 a.C.) Non credeva nella vita dopo la morte, non si è mai occupato di politica, visse in dignitosa povertà, non coltivò le amicizie con i potenti, predicò il piacere come fine della vita, un piacere non disgiunto da onestà e giustizia e che consisteva nel potersi godere un pezzo di pane casareccio, un bicchiere di vino, un giaciglio e, se possibile, una donna con cui fare l'amore. Fu accusato di settarismo: la sua società amicale, tutta all'interno dell' "hortus conclusus" ove impartiva l'insegnamento, ha creato in alcuni il sospetto dell'epicureismo quale antesignano della mafia.


Tratto da Lettera sulla Felicità di Epicuro a Meceneo


Abituati a pensare che la morte non esiste per noi, perché ogni godimento o sofferenza deriva dai nostri sensi mentre la morte ne costituisce la privazione. La consapevolezza che la morte non è niente ci permette di godere della condizione mortale della vi­ta, senza che ci angusti il desiderio dell'immortalità che verrebbe soppresso dalla certezza della morte. Nulla esiste di insopportabile nella vita per chi è convinto che non c'è nulla da temere nel non vivere più.

Ugualmente sciocco è chi dice di temere la morte, non tanto perché al suo arrivo potrà soffrire, ma perché soffre ora al pensiero che un giorno verrà.

Dunque, il più atroce dei mali, non è niente per noi, dal momento che quando noi siamo in vita la morte non c'è e quando c'è la morte non ci siamo più noi. Non esiste né per i vivi né per i morti: per gli uni non è niente e, in quanto agli altri, non ci sono più. Invece la maggior parte della gente o fugge la morte come la peggiore delle sciagure o la invoca come cessazione dei mali delta vita; ma il saggio né rifiuta la vita né teme la morte perché la vita non è per lui un male e neanche ritiene che possa esserlo la morte. E come per i cibi preferisce non i più abbondanti ma i migliori, così cerca di godere non il tempo più lungo ma il più piacevole.

Chi poi esorta il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire, è uno scemo, non solo perché la vita per se stessa dà gioia, ma anche perché una sola e l'arte di ben vivere e di ben morire.

Assai peggio fa chi dice: "Bello sarebbe non essere mai nati o, appena nati, varcare al più presto le soglie dell'Ade".

Se poi è convinto di quanto dice, perché non si suicida? Ha pieno diritto di farlo se questa è la sua volontà. Invece se intende scherzare, è sconveniente trastullarsi su argomenti così seri.

Ricordiamoci poi che il futuro non ci appartiene interamente e di conseguenza non aspettiamoci che si avveri ogni nostro desiderio, né è conveniente disperarci se dovesse accadere il contrario di quanto avremmo voluto.

Similmente si tenga bene a mente che tra i desideri solo alcuni sono naturali e necessari e quindi indispensabili alla nostra vita felice, altri sono soltanto naturali ma non necessari, altri ancora non naturali né necessari e perciò totalmente in contrasto con ciò che può condurci alla di felicità.

Solamente l'esatta conoscenza di tali desideri fa sì che ogni scelta o rifiuto sia subordinato al benessere del corpo e alla serenità dell'anima, perché così si raggiunge il fine di una vita felice: e in realtà ogni nostra azione è volta ad allontanare il dolore e a non essere turbati. Appena raggiunto questo obiettivo le tempeste dell'animo si placano, non avendo il nostro organismo vitale altra esigenza da soddisfare nè altro da desiderare per il completo benessere dell'animo e del corpo. Infatti abbiamo bisogno del piacere quando soffriamo, quando invece non soffriamo non abbia­mo più bisogno del piacere.

Ed è per questo che riteniamo il piacere principio e fine della felicità, infatti è nel piacere che consiste il bene supremo a noi connaturato, così come da esso muoviamo nell'assumere qualsiasi atteggiamento di scelta o di rifiuto e giudichiamo il bene in funzione del piacere o del dolore che può derivarci.

II piacere è bene primario innato, per tale ragione non possiamo inseguire ogni piacere, anzi a volte ci conviene tralasciarne non pochi perchè potrebbero arrecarci più male che bene; addirittura ci sono delle sofferenze che sono da preferirsi agli stessi piaceri, se non altro per il gusto che ci consentono di provare, avendole lungamente sopportate.

Ogni piacere dunque, per sua propria natura, è bene, ma non per questo tutti i piaceri sono da scegliersi; così come, pur essendo ogni dolore un male, non sempre è da fuggire. E’ soltanto in base ai vantaggi e agli svantaggi che possono arrecarci, dobbiamo giudicare piaceri e dolori.

Vi sono delle circostanze infatti in cui il bene è per noi un male, altre, in cui il male è per noi un bene.

E ancora: consideriamo un grande bene l'indipendenza dai bisogni, non perché il poco ci debba sempre bastare, ma perché ove non ci è concesso avere il molto, anche il poco ci basti, intimamente persuasi che l'abbondanza si gode più dolcemente quanto meno ne sentiamo il bisogno.

Tratto da “Quale Felicità”

Sottotitolo: Tra Virtù e Piacere - Epicuro contro Seneca

Collana: Curiosità del giardino di Epicuro

Editore: Felice Scipioni

5 commenti:

ilpoeta ha detto...

Bellissima questa lettera...chissà cos'avrebbe detto Epicuro se fosse vissuto oggi...

Buon fine settimana!

Lara ha detto...

Grande Epicuro! Scrive Pietro Emanuele che il nemico più accanito di Epicuro fu un granitico maestro di austerità, Cicerone.
Il filosofo di Samo proprio non gli piaceva. Aveva addirittura sostenuto che il piacere fosse una virtù. Ma come? Sarebbe come scambiare una prostituta per una signora per bene ... :)
(Questo nel De finibus bonorum et malorum)

Ciao Frankie, Buon ine settimana!
Lara

Frankie Palla ha detto...

Poeta
E soprattutto sarebbe stato libero di dirlo?
No, non è una polemica relativa ai recenti avvenimenti. Cosi in generale, chissà se la libertà di parola è aumentata rispetto al passato.
Me lo chiedo alla luce di quanto scritto sopra:"ha creato in alcuni il sospetto dell'epicureismo quale antesignano della mafia".


Lara
In effetti il sottotitolo del libro è: Epicuro contro Seneca. Per non farla troppo lunga ho riportato solo uno stralcio della lettera. Intendo del libro è proprio quello di confrontare le due visioni. Le due lettere sulla felicità di Epicuro a Meceneo (felicità=piacere) e Seneca a Gallione (felicità=virtù).

Roberta ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Roberta ha detto...

Libertà di vivere, di essere, di noi!

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