mercoledì 29 aprile 2009

Chiesa e schiavismo in Europa (III) – Curiosità del giardino di Epicuro

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Gli schiavi esistenti nello Stato pontificio provenivano da Genova, Venezia o dall'Italia meridionale dove erano regolarmente acquistati dai mercanti di schiavi. Se gli schiavi si ostinavano a restare nella loro vecchia religione, per loro non c'era alcuna speranza di liberazione, erano condannati a morire schiavi. Se però si convertivano potevano essere liberati per testamento o su delibera del Senato romano.[….]

Per quanto riguarda le schiave acquistate per scopi erotici, talvolta erano gli stessi padroni a liberarle abbandonandole per la strada dopo averle sedotte e rese gravide. Clemente VIII, di fronte a tali scandali che turbavano la bigotta morale controriformista, deliberò forme di assistenza a favore di queste disgraziate ma si guardò bene dall'abolire la schiavismo nello Stato della Chiesa"!

Sotto il pontificato di San Pio V (1566-1572) numerosi prigionieri di guerra musulmani, catturati nella battaglia navale di Lepanto, sono obbligati a lavorare coattivamente alle mura di Roma. Per coprire dei posti vacanti di rematori sulle galere pontificie, alcuni zingari maschi vi furono deportati in condizione schiavistica, nonostante le proteste di qualche religioso che negava la liceità di "mandare gli zingari alle galere": il Papa ordinò l'esilio per il padre domenicano Paolino Bernardini che si era troppo esposto in difesa di questo popolo.

La presenza di schiavi nella Roma del '600 e ben documentata anche se spesso in vari testi e articoli si tende a denominarli semplicemente "mori", in realtà costoro erano schiavi a tutti gli effetti. Sotto il pontificato di Innocenzo X (1644-1655) l'ambasciatore spagnolo si recava alle udienze papali con un sontuoso seguito di servitori mori in livrea. Nel 1650 il re di Spagna Filippo IV si recò in pellegrinaggio a Roma per l'anno santo con al seguito molti schiavi mori.[….]

Livorno fu per tutta l'età moderna, fino al primo trentennio del '700, piazza di mercato degli schiavi nord-africani e scalo frequentato per un più limitato traffico di schiavi esercitato nell'ambito della cristianità. Altri schiavi giungevano a Livorno come diritti d'Ammiragliato sulle prede fatte da navi armate con patenti del Granduca di Toscana. Fino al 20% della popolazione di Livorno era formata da schiavi i cui proprietari erano il Gran­duca, l'Ordine religioso-militare di santo Stefano e svariati privati cittadini, sia cristiani che ebrei. La principale attività di questi schiavi era il remo sulle galere alternate al soggiorno periodico in un apposito "Bagno" sito all'interno della città. Nel 1706 c'erano ancora ben 528 schiavi in servizio sulle navi granducali, di cui 516 musulmani e il resto cristiani. La schiavitù in Toscana finisce definitivamente verso il 1750 quando tutti gli schiavi ottomani sono liberati a seguito di un trattato con l'impero turco, senza che gli storici rilevino alcun intervento umanitario della Chiesa a loro favore. Gli schiavi non sudditi turchi sono trasferiti in catene a Pisa e a Portoferrario nell'isola d'Elba.

In Toscana sono ancora rilevabili nel secolo XVI delle schiave orientali deportate a scopo erotico: ciò risulta da documenti del 1526 e da vari testi di commedie del '500 toscano in cui compare spesso il personaggio della schiava. Nel 1618 è segnalata la presenza a Pisa di una schiava negra di sedici anni originaria delle isole di Capoverde.

Genova e Venezia praticarono la tratta degli schiavi anche in età moderna: nel '500 Genova era ancora una delle principali piazze mediterranee per il mercato dei prigionieri di guerra ridotti in schiavitù. Per quanto riguarda Venezia è per esempio documentato che nel 1584 il suo governo accettò di barattare un gruppo di schiavi catturati su una galera turca "con una forte somma di denaro". Caterina Sforza, signora di Imola e Forlì, nel suo testamento del 1509 stilò un legato particolare a favore del figlio Giovanni dalle Bande Nere, riguardante la schiava moresca "chiamata Moro Bona della quale potrà liberamente disporre, secondo la sua volontà". Anche in Sardegna è provata la presenza di numerosi schiavi: in particolare sembra che il concubinato delle schiave vi fosse ammesso come un fatto naturale, vista la sua notevole diffusione.

L'ultimo caso sicuramente accertato di schiavitù in Italia risale al 1812 in Sicilia; per la liberazione di uno schiavo del principe di Petrulla fu intentata una causa legale nel corso della qua­le l'avvocato dello schiavista portò le seguenti argomentazioni: l’affrancazione dello schiavo dopo aver ricevuto il battesimo (se non si converte al cattolicesimo non se ne parla nemmeno) non veniva affatto sancita dalle leggi civili ed ecclesiastiche, e riportandosi alle massime apostoliche concludeva che la servitù dell'uomo è in sintonia col di lui nobile carattere di cristiano e che l'autorità di pubblicisti, la santità stessa di nostra Religione, la disciplina della Chiesa... lo persuadono a suggerire alla maestà vostra che il servo, anche dopo il battesimo, deve restare nella sua servile condizione, quando il suo padrone, come nel caso di cui si tratta, non voglia donargli la libertà. [….]

[….] Molto più rilevante fu 1'entità numerica del fenomeno schiavistico in Spagna: si calcola che a Siviglia furono venduti tra il 1470 e il 1525 ben 4.465 schiavi di cui un terzo di età inferiore ai 13 anni. Nel solo 1495 furono deportati dai Caraibi 300 schiavi.

La regina Isabella di Castiglia ebbe qualche remora di ca­rattere morale, fece sospendere per un certo periodo tale disgustoso commercio, dispose che una commissione di teologi esperti in materia si pronunciasse al riguardo ma poi tutto tornò come prima. [….]

[….]Lo schiavismo spagnolo fu regolamentato con un'apposita legge dalle Cortes castigliane nel 1560: la schiavitù era perfettamente legale e chiunque poteva acquistare o detenere schiavi ad eccezione della popolazione di stirpe musulmana cui era vietato.

Anche la storia della schiavitù in età moderna contempla numerosi casi di crudeltà perpetrate contro questi sventurati, in barba al decantato umanesimo cristiano: nel 1610 a Napoli uno schiavo fu impiccato al posto del suo padrone, il nobile Orazio Minutolo, cavaliere di Malta, accusato di omicidio nel corso di un duello di strada.[….]

[….]Le violenze carnali contro schiave e giovani schiavi erano all'ordine del giorno. A Firenze erano molto frequenti le unioni sessuali fra nobili e schiave, tanto che si poneva spesso il problema di dove sistemare gli indesiderati frutti di tali rapporti erotici. La Chiesa ci metteva una pezza aprendo i suoi conventi almeno alle bambine che vi venivano monacate fin dalla più tenera età. Nei registri dei conventi le madri delle suorine erano appunto indicate come "schiave".

Il naturale desiderio di libertà sommato alle numerose vessazioni qui descritte indussero anche gli schiavi europei dell'età moderna a tentare la fuga.

Un caso particolare di fuga avvenne a Catania nel 1702: quattro schiavi abbandonarono i loro padroni rifugiandosi in una Chiesa, ignoriamo purtroppo come sia andata a finire tale vicenda. Per certi aspetti assimilabile a quella degli schiavi era la condizione dei nani che vivevano nel Rinascimento e in età moderna presso le corti dei re, cardinali e altri aristocratici euro­pei. Infatti non ricevevano alcuno stipendio, non erano liberi di allontanarsi a loro piacimento ed infine potevano essere regalati come fossero animali o semplici oggetti. Nel 1468 Carlo il Temerario, duca di Borgognona, regala una nana alla principessa di York sua sposa. La marchesa di Mantova Isabella d'Este (1474-1539), madre di un cardinale e di un generale dell’esercito papale, creò nella sua corte un vero allevamento di nani "i cui figli regalò agli amici". Un'altra allevatrice di nani fu Caterina de' Medici, strettamente imparentata con papi e cardinali, tra i quali si segnalò il cardinal Vitelli che nel 1556 organizzò un banchetto i cui convitati furono serviti da ben 34 nani "in maggior parte contraffatti e deformi".

L'ultimo caso documentato di nano in condizione semischiavistica fu quello di Rustino, un negretto deforme e subnormale, deportato dall'Africa alla corte di Vienna per il divertimento dell'imperatrice d'Austria Elisabetta (1837-1898). Tra il '600 e il '700 anche la condizione di molti bambini italiani, evirati con il consenso indiretto della Chiesa per farne dei sopranisti ad uso di teatri e cappelle, era assimilabile a quella dei piccoli schiavi. Infatti è capitato che fossero allevati appositamente per essere rivenduti come fossero dei vitelli. A questo proposito è significativa la testimonianza del viaggiatore svedese Grosley il quale attesta l'esistenza di un mercato clandestino di orfanelli castrati fra Firenze e Roma per aver conosciuto personalmente un oste fiorentino che si recava a Roma per vendervi un ragazzino da lui allevato fin da piccolo: “Ne capimmo abbastanza da stupirci che un tal commercio avesse luogo in un paese cristiano”.

 

Tratto da “Chiesa e schiavismo in Europa”

di Pierino Marazzani

Collana: Curiosità del giardino di Epicuro

Editore: Felice Scipioni

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Dehihiho, anche Farinelli è colpa della Chiesa. Notevole

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