martedì 28 aprile 2009

Chiesa e schiavismo in Europa (II) – Curiosità del giardino di Epicuro

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LA CHIESA DELLE ORIGINI E LA SCHIAVITU’

Nel mondo greco-romano la schiavitù era presente da millenni in proporzioni notevolissime e con aspetti contraddittori. Nella città cretese di Gortyna, agli schiavi era garantito il diritto di formarsi una famiglia e di unirsi in matrimonio con i liberi. Erano altresì previste pene per i padroni che uccidevano o fustigavano i loro schiavi.

Ad Atene certi schiavi domestici raggiunsero grandi fortu­ne ottenendo la liberazione e perfino la cittadinanza; i loro figli potevano conseguire alte cariche come nel caso di Iperbolo che fu oratore. Lo schiavo brutalizzato dal padrone poteva cercare rifugio nel Tempio di Teseo o presso l'altare delle Eumenidi, nell'Aeropago.

Ad Efeso il tempio di Artemide dava asilo agli schiavi fuggitivi mentre a Chio analoga accoglienza si poteva ottenere presso il Tempio dell'eroe Drymakos. In Egitto, all'epoca della dinastia tolemaica, lo schiavo era protetto dalla legge che vietava l'uso della frusta e il marchio della sua pelle mentre, dopo l'occupazione romana, gli schiavi poterono formarsi una famiglia e addirittura sposarsi con liberi.

Nell'antica Roma il trattamento umanitario degli schiavi era raccomandato da autorevoli esponenti del paganesimo come Seneca, Varrone, Cicerone, Plinio il Giovane e vi era una larga diffusione di associazioni religiose costituite da schiavi. Gli imperatori Augusto, Claudio, Antonio Pio e Adriano emanarono norme legislative a parziale protezione degli schiavi che comunque, molto spesso, erano marchiati a fuoco, sottoposti a turpitudini sessuali, gettati in strada se vecchi o malati, adibiti a mortali giochi circensi, bastonati o uccisi dai loro padroni anche per futili motivi. Però gli antichi romani - memori che alcune delle istituzioni capitoline più prestigiose risalissero al re Servio Tullio, di origine servile, come evidenziava il nome -garantivano per legge la cittadinanza allo schiavo liberate, talché vi furono non pochi casi limite di stranieri che si offrivano spontaneamente come schiavi di cittadini romani con la clausola di esser liberati dopo un certo numero di anni di servizio e cosi accedere automaticamente all'agognata cittadinanza.

Di fronte alla larghissima diffusione del fenomeno schiavistico la Chiesa dei primi secoli scelse di fare opera di proselitismo anche verso di loro, attenendosi alle raccomandazioni apostoliche citate nel capitolo precedente. Non fu quindi mai predicata alcuna uguaglianza dei diritti tra gli uomini ma agli schiavi si predicarono solo rassegnazione e rispetto totale dell'ordine sociale esistente. L'esame degli scritti di Lattanzio, san Clemente Alessandrino, Sant'Ignazio di Antiochia e san Cipriano, lo conferma chiaramente. Per Sant'Agostino in particolare, la schiavitù è legittima e utile per punire e riscattare i peccatori; la sua autorevole presa di posizione filo-schiavista, basata su approfonditi studi biblici ed evangelici, costituì una potente giustificazione dell'ingiusto ordine sociale allora esistente e formò un solido alibi agli schiavisti cristiani del Medioevo e dell'età moderna.

La legittimità della schiavitù appare cosi evidente a sant'Agostino che, essendosi imbattuto nella regola del diritto ebraico secondo cui lo schiavo di religione ebrea doveva essere liberato automaticamente dopo sei anni di servaggio, si da molto da fare per spiegare come il cristianesimo non contemplasse assolutamente tale diritto. Del resto sapeva benissimo che vi erano schiavi in quasi tutte le case dei cristiani della sua città di Ippona e quindi, permanendo un potenziale pericolo di insurrezioni, si sentiva in diritto di collaborare al mantenimento del­l'ordine pubblico con prediche consolatorie e inviti alla rasse­gnazione.

Per evitare i possibili disordini derivanti dalla conversione al cristianesimo di schiavi di padroni pagani, nel III secolo la Chiesa, per un certo periodo, rifiutò perfino l'adesione di costoro a meno che non vi fosse il consenso del padrone; anzi, addirittura sostenne che era il padrone a dover stabilire la reli­gione dei suoi schiavi.

La Chiesa nei secoli III, IV e V accumulò un ingente patrimonio di beni immobili e mobili tra cui molti schiavi; non stupisce quindi che lo schiavo fuggitivo fosse sottoposto alla pena dell'anatema. E' quanto prescrive il Concilio tenuto a Granges nel 324: "Se qualcuno, sotto il pretesto di pietà, incita lo schiavo a disprezzare il suo padrone, a sottrarsi alla schiavitù, a non servire con buona volontà e rispetto, anatema sia su di lui".

Nel secolo V la Chiesa romana lancia l'anatema contro quanti sobillavano gli schiavi a ribellarsi nelle tenute agricole che in gran numero possedeva. San Giovanni Crisostomo testimonia che, nonostante la cristianizzazione, nella sua città nativa di Antiochia vi erano ancora moltissimi schiavi tanto che alcuni ricchi possidenti ne avevano fino a duemila ciascuno. Del resto nella stessa Roma, sede del papato, nel 410 vivevano più di 40.000 schiavi i quali raggiunsero in massa l'accampamento del barbaro Alarico che assediava la città: una delle sue richieste era proprio la liberazione degli schiavi barbari.

Malgrado la cristianizzazione dell'impero romano, maltrattamenti e abusi contro gli schiavi proseguirono. Appare perciò evidente che il cristianesimo non ha avuto alcun merito nel declino della schiavitù nel mondo antico, causata invece, fondamentalmente, dalla drastica diminuzione della disponibilità di soldati, tanto da essere gli stessi romani a correre il rischio di finire asserviti ai barbari vincitori.

In alcun caso mai il battesimo comportò, nella dottrina della Chiesa, la necessaria liberazione dello schiavo, per cui fu sempre lecito per il cristiano possedere schiavi anche se nati o convertiti alla sua fede. Comunque è storicamente documentato che nel cristianesimo dei primi secoli è esistito un filone di protesta sociale tale da attrarre alla nuova religione molti schiavi ed ex schiavi. Nel III secolo uno di loro fu eletto addirittura papa, l'ex schiavo san Callisto I, che poté diventare prete dopo essere stato liberato per intercessione di una concubina dell'imperatore Commodo. Nel IV secolo Eustazio, vescovo di Sebaste in Asia Minore, fu condannato dal Concilio di Cangra perché incitava gli schiavi a disubbidire ai loro padroni.

II problema della compatibilità tra l'essere contemporaneamente prete e schiavo fu oggetto di dibattito nella Chiesa fin dal IV secolo, quando fu deliberate di sbarrare l'accesso degli schiavi agli ordini sacri. In un secondo momento papa san Leone Magno (440-461) propose di accettare l'ordinazione degli schiavi previo assenso padronale. Evidentemente con tali disposizioni si violava il principio dell'eguaglianza dei fedeli di fronte alla Chiesa, sancendo in pratica l'esistenza di cattolici di serie A, che possono farsi preti, e di serie B, cui è vietato. Un implicito riferimento a tali discriminanti decreti esiste ancora nell'attuale Codice di Diritto Canonico, infatti al canone 1026 è scritto: "Chi viene ordinato (prete, ndr) deve godere della debita libertà".

L'ambiguo atteggiamento di certi ricchi cristiani dei primi secoli nei confronti dei propri schiavi è documentato dai seguenti fatti: nel IV secolo san Brizio di Tours, pur avendo già pronunciato i voti monastici, pretese per un certo periodo di "mantenere schiavi e scuderia", incontrando solo la muta disapprovazione dei monaci. Santa Demetriade decise di ritirarsi in Africa a pregare tirandosi dietro le sue schiave. Più umanitaria la patrizia romana Melania Junior che nel V secolo liberò i suoi schiavi prima di partire in pellegrinaggio per la Palestina.

L'imperatore Costantino, iniziatore delle fortune del cristia­nesimo e onorato con una statua nell'atrio della basilica di San Pietro, svolse nei riguardi della schiavitù un ruolo controverso macchiandosi di gravissimi crimini. II suo esercito catturò molti schiavi nel corso di spedizioni militari contro i Germani e, poiché molti di loro tentavano la fuga per tornare liberi in patria, ordinò di condannare gli schiavi colpevoli ai lavori forzati o al taglio delle gambe. Un'altra sua feroce disposizione sottoponeva alla tortura lo schiavo fuggiasco, della cui proprietà disputassero due padroni. Inoltre gli schiavi liberati, se fossero stati riconosciuti "ingrati" in giudizio, dovevano ritornare schiavi. In base ad un suo decreto del 319, il padrone poteva essere ritenuto responsabile della morte di uno schiavo solo per averlo coscientemente ucciso, ma non ne rispondeva se lo schiavo fosse motto in seguito a flagellazione o per essere stato incatenato in maniera cruenta.

Costantino vieto di marchiare a fuoco in faccia gli schiavi destinati alle miniere o alle lotte gladiatorie poiché "il volto, raffigurato secondo l'immagine della bellezza celeste, non doveva essere violato". Però sostituì i collari metallici inamovibili, recanti il recapito del padrone delle schiavo obbligato a portarli. Permise la vendita dei bambini, ma poi la revoco in parte, consentendo la vendita per i soli bambini non liberi. Nel 329 legalizzo la vendita dei servigi di un figlio da parte dei genitori ed infine, nel 331, stabili la condizione di schiavitù dei bimbi abbandonati nei confronti di coloro che li avevano raccolti e allevati in casa loro. Come si vede, l'asserita grande opera "per la redenzione degli schiavi" da parte di questo primo imperatore cristiano, è ben difficile da cogliere, anche se nel 316 un suo decreto legalizza la liberazione degli schiavi nelle chiese alla presenza del vescovo, ma ciò avveniva anche in alcuni santuari pagani come Delfi.

Costantino approfittò pure delle leggi in materia di schiavismo per liberarsi dei figli dei suoi nemici politici: nel 336 ordinò che Liciniano, figlio dell'imperatore sconfitto Licinio, fos­se reso schiavo in quanto nato da una schiava. Nello stato di cristianesimo non deve combattere la schiavitù: e dal peccato di Adamo ed Eva che deriverebbe lo stato di servitù dello schiavo nei confronti del padrone, la schiavitù sarebbe addirittura un istituto di punizione dei peccatori, con una sua funzione positiva ed in un certo senso meritoria. Non c'è quindi da stupirsi se a seguito del parere favorevole dei più meritevoli santi dell'epoca, anche le stesse Costituzioni Apostoliche giudichino "perfetta-mente lecito per dei cristiani acquistare e possedere schiavi".

In conclusione, la Chiesa delle origini non ha alcun merito nel declino del fenomeno schiavistico avvenuto tra il IV e il V secolo, anzi, essa stessa possiede schiavi e giustifica la schiavitù sul piano teologico. Le sue prediche umanitarie non sono una novità essendo già state pronunciate da esponenti del paganesimo; anche la tutela del matrimonio degli schiavi era già stata prevista in epoca pagana. Sulla Chiesa delle origini pesa l'enorme responsabilità di aver dato inizio allo schiavismo cristiano.

Tratto da “Chiesa e schiavismo in Europa”

di Pierino Marazzani

Collana: Curiosità del giardino di Epicuro

Editore: Felice Scipioni

2 commenti:

Juanne Pili ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Juanne Pili ha detto...

Basta leggere nella Torà, specialmente il deuteronomio ... nelle leggi di Dio non si dice niente contro la schiavitù, ma ansi, lo schiavo si può percuotere se si ribella!!
POTERE AL DUBBIO!

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